Che cos'è l'ADHD?
ADHD: Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività
Prima di vedere le casue dell'ADHD, proviamo a capire di che cos'è l'ADHD. ADHD (Attention Deficit and Hyperactiv Disorder) è la sigla con cui viene riconosciuto a livello internazionale il Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività, precedentemente noto in Italia con la sigla DDAI.
I bambini con ADHD fanno difficoltà a regolare il proprio comportamento a scuola, non riuscendo a portare a termine le consegne e a regolare l’attenzione, e a casa, facendo fatica a stare nei tempi e a rispettare le regole. Sono bambini che a causa del disturbo possono trovare difficoltà ad apprendere e a gestire le relazioni sociali coi pari e con gli adulti.
Si stima che a livello internazionale l’ADHD abbia una prevalenza di circa il 5% in Italia e che sia più diffusa nei maschi rispetto alle femmine con un rapporto (sex ratio) di 2:1.
Tuttavia, l’ADHD negli anni ha trovato forti ostacoli culturali e sono purtroppo in molti che ancora oggi credono che questo disturbo sia un’ “invenzione” dei nostri tempi. In realtà l’ADHD ha una lunga storia alle spalle.
L’ADHD nella storia
L’ADHD non è un’invenzione dei nostri giorni, ma un disturbo con una lunga storia
All’inizio del ‘900 l’ADHD veniva identificato come un “deficit nel controllo morale” che portava i bambini ad “un’eccessiva vivacità e distruttività” (Still, 1902).
Successivamente, intorno agli anni ’30, l disturbo veniva definito come “danno cerebrale minimo”, perché era evidente vi fosse qualche alterazione neurobiologica che i ricercatori dell’epoca non riuscivano tuttavia ad identificare.
Nel 1968 l’ADHD fa la sua comparsa nel Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM II) sotto l’etichetta “reazione ipercinetica del bambino”, una diagnosi che all’epoca teneva conto principalmente delle caratteristiche di iperattività.
Nel 1980, grazie agli studi di Virginia Douglas (Douglas, 1972), diventano salienti gli aspetti cognitivi del disturbo e il DSM III lo etichetta come “disturbo da deficit dell’attenzione”.
Con il DSM IV, nel 1994 si inizia a parlare di ADHD secondo i criteri diagnostici che, con qualche piccola differenza, vengono descritti anche nel DSM 5 (2013).
In tutti questi anni l’ADHD è stato al centro di innumerevoli ricerche. Google Scholar identifica 32800 ricerche scientifiche con ADHD nel titolo dell’articolo dal 1900 al 2018. Vista la storia di ricerca che questo distubo ha alle considerarlo un’ “invenzione” dei nostri tempi è decisamente fuorviante. Com’è che allora molte persone sono portate a crederlo?
I sintomi dell'ADHD
Non tutti i bambini con un comportamento disattento, impulsivo o iperattivo hanno un Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività (ADHD)
L’ADHD si caratterizza per i suoi sintomi comportamentali ed è forse per questo che molte persone fanno difficolta a riconoscerlo come un disturbo.
“È normale che i bambini siano agitati, che si muovano sempre, sono bambini!”
“Ha un caratterino, ma le cose d’istinto…”
“Massì ha la testa tra le nuvole ma capita a tutti no?”
Tutto questo è vero. I bambini con ADHD non hanno dei comportamenti diversi dai bambini senza disturbo. 3 sono i fattori che però caratterizzano il loro comportamento come disfunzionale e sintomo di un disturbo:
- I comportamenti di iperattività, impulsività e disattenzione di presentano in maniera molto più frequente rispetto agli stessi comportamenti dei coetanei;
- I comportamenti vengono percepiti come maggiormente intensi da figure significative (genitori, insegnanti e pari);
- I comportamenti hanno un impatto negativo sulla vita del ragazzo presentandosi in più contesti della sua vita (es: casa, scuola, sport).
Fatte queste premesse, vediamo quali sono le caratteristiche che un ragazzo con ADHD può presentare.
Sintomi di disattenzione
- Spesso non riesce prestare attenzione ai particolari o commette frequenti errori di distrazione;
- Ha spesso difficoltà a mantenere l’attenzione sui compiti o sulle attività di gioco;
- Spesso non sembra ascoltare quando gli si parla direttamente;
- Spesso non segue le istruzioni e non porta a termine i compiti scolastici, le incombenze o i doveri sul posto di lavoro;
- Ha spesso difficoltà a organizzarsi nei compiti e nelle attività;
- Spesso evita, prova avversione o è riluttante ad impegnarsi in compiti che richiedono sforzo mentale protratto;
- Perde spesso gli oggetti necessari per i compiti o le attività;
- Spesso è facilmente distratto/a da stimoli esterni;
- È spesso sbadato nelle attività quotidiane.
Sintomi di iperattività
- Spesso agita o batte mani e piedi o si dimena sulla sedia;
- Spesso lascia il proprio posto in situazioni in cui si dovrebbe rimanere seduti;
- Spesso scorrazza e salta in situazioni in cui farlo risulta inappropriato;
- È spesso incapace di giocare o svolgere attività ricreative tranquillamente;
- È spesso sotto pressione, agendo come se fosse “azionato da un motore”;
- Spesso parla troppo;
- Spesso “spara” una risposta prima che la domanda sia stata completata;
- Ha spesso difficoltà nell’aspettare il proprio turno;
- Spesso interrompe gli altri o è invadente nei loro confronti.
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Cause dell'ADHD
L’ADHD è un disturbo del neurosviluppo con cause neurogenetiche ma influenzato da fattori di rischio ambientale.
In quanto un disturbo del neurosviluppo le cause dell' ADHD sono da identificare a livello genetico e neurobiologico, facendo attenzione a quelli che sono i fattori di rischio ambientali.
Fattori genetici
Come ricorda Barkley (2018), l’ADHD può avere cause genetiche vista la forte componente erereditaria. I figli di persone con ADHD hanno una probabilità di 6-8 (35-54%) volte superiori di ricevere questa diagnosi rispetto ai figli di persone senza il disturbo.
Se un bambino soffre di ADHD i suoi fratelli biologici hanno una probabilità di 3-5 (25-35%) volte superiore mentre in caso di gemelli omozigoti la probabilità sale al 75-90%.
La ricerca genetica ha identificato dai 25 ai 44 geni coinvolti nel disturbo che presentano diverse forme di polimorfismo. Tali varianti determinano dei cambiamenti strutturali nel cervello i quali hanno ricadute sui processi cognitivi e sul comportamento.
Fattori neurobiologici
Diversi studi di anatomia neurofisiologica e neuroimaging hanno messo in luce le basi neurobiologiche dell’ADHD evidenziando differenze nella struttura, nel funzionamento, nello sviluppo e nelle connessioni del cervello dei bambini con questo disturbo.
Le aree maggiormente coinvolte nell’ADHD sono:
- La corteccia prefrontale;
- La corteccia cingolata anteriore;
- La parte frontale del corpo calloso;
- Il corpo striato
- Il cervelletto.
Il cervello dei bambini con ADHD presenta in generale una riduzione del 3-10% della materia grigia e una riduzione del 15-30% rispetto alla norma nelle aree sopracitate.
Oltre a queste variazioni strutturali sono state messe in evidenza delle differenze nelle reti neurali subcorticali che connettono queste aree riducendone quindi la funzionalità.
Fattori di rischio ambientali
Oltre alle variazioni genetiche, le cause dell'ADHD possono vanno ricercate in alcuni fattori di rischio ambientali in periodo prenatale, perinatale e postnatale. Tra questi sono stati identificati:
- Infezioni della madre in gravidanza;
- Livello di stress della madre durante la gravidanza;
- Uso di sostanza in gravidanza (tabacco, alcolici o droghe);
- Difficoltà del parto;
- Grado di prematurità del bambino;
- Lesioni cerebrali del bambino dopo la nascita dovute a traumi, tumori, ictus o avvelenamento (ad es: piombo e pesticidi).
Secondo le stime, il 60-70% dei casi di ADHD ha una causa genetica, il 20-25% è dovuto a complicazioni in gravidanza e il 5-20% può derivare da lesioni cerebrali subite dopo la nascita.
Conseguenze dell'’ADHD sui processi cognitivi
I processi cognitivi deficitari nei bambini con ADHD sono l’Attenzione, le Funzioni Esecutive (ad es: inibizione) e il Meccanismo di risposta alla ricompensa
Le variazioni a livello strutturale e funzionale del cervello dei bambini con ADHD hanno delle conseguenze sui processi cognitivi che rispondono alle aree cerebrali coinvolte.
NB: I deficit nei processi cognitivi non hanno nulla a che fare con il quoziente intellettivo di questi bambini che risulta essere nella norma
I processi maggiormente colpiti nell’ADHD sono l’Attenzione, le Funzioni Esecutive ed il Meccanismo di Risposta alla Ricompensa (Sonuga-Barke et al., 1992).
L’attenzione nei bambini con ADHD
L’attenzione è un processo cognitivo complesso, un termine ombrello sotto cui stanno diversi tipi di processi attentivi.
Sulla base dell’intensità e della selettività si possono distinguere:
- Allerta (arousal), stato fisiologico di attivazione finalizzata alla capacità di rispondere alla comparsa di un segnale di avvertimento;
- Attenzione sostenuta, che consente di mantenere lo sforzo attentivo nel tempo anche in compiti monotoni (ad es: studiare per un lungo periodo);
- Attenzione selettiva, con la quale possiamo selezionare parte degli stimoli presenti nel contesto e sottoporli ad elaborazione (ad es: ascoltare l’insegnante ed ignorare i compagni chiacchieroni);
- Attenzione divisa, che consiste nel mantenere l’attenzione su due categorie di stimoli integrandone le informazioni (ad es: ascoltare l’insegnante e prendere appunti).
La ricerca ha evidenziato come il tipo di attenzione maggiormente compromesso nei bambini con ADHD sia l’attenzione sostenuta. Questi bambini fanno molta fatica a rimanere per lunghi periodi su un compito ed hanno perciò bisogno di un maggior numero di pause durante le loro attività.
Le funzioni esecutive nei bambini con ADHD
Le funzioni esecutive sono un insieme di abilità che consentono di pianificare, organizzare e monitorare un’azione. Tra le funzioni più citate in letteratura troviamo:
- Memoria di lavoro, una sorta di RAM del cervello dove le informazioni permangono per il tempo necessario alla loro elaborazione;
- Pianificazione, attraverso cui è possibile prefigurarsi una sequenza di azioni sufficiente a raggiungere un obiettivo;
- Flessibilità (shifting), intesa come la capacità di adattarsi velocemente ad una nuova situazione;
- Inibizione, che consiste nella capacità di ridurre l’elaborazione di uno stimolo irrilevante per il compito;
Barkley (2006a) sottolinea come il bambino con ADHD presenti un deficit di inibizione comportamentale. La difficoltà ad inibire stimoli esterni (rumori, luci, ecc.) e interni (pensieri, immagini, ecc.) rende difficoltoso anche portare a termine un compito e a fare più cose contemporaneamente senza raggiungere un obiettivo.
In generale le difficoltà nelle funzioni esecutive nei bambini con ADHD si esprimono in:
- Comportamento sregolato;
- Rigidità comportamentale (perseverazioni);
- Caoticità
- Ridotta persistenza in un compito;
- Assenza di controllo nelle fasi di esecuzione di un compito;
- Impulsività ed irrequietezza.
La motivazione nei bambini con ADHD
Secondo alcuni autori, l’ADHD porterebbe ad un deficit nei meccanismi di risposta alla ricompensa detto delay aversion, ovvero avversione all’attesa. Tale tipo di risposta porta i bambini con ADHD ad una forte intolleranza all’attesa e quindi a preferire soddisfazioni immediate rispetto di ricompense maggiori nel lungo periodo.
Come conseguenza di questo deficit si potrebbero presentare comportamenti di iperattività e disattenzione. Per tale meccanismo risulta utile con i bambini con ADHD fornire feedback frequenti e rinforzi immediati.
È possibile curare l’ADHD?
Non esiste una cura per l’ADHD ma è possibile trattarlo ed insegnare al bambino a gestire meglio i sintomi
Proprio a causa nella sua natura neurogenetica e neurobiologica non esiste una cura per l’ADHD. Questo non vuol dire però che non ci sia nulla da fare.
Possiamo distinguere tra interventi evidence-based che hanno dato prova quindi di efficacia, interventi che risultano promettenti in quanto hanno dimostrato qualche efficacia e interventi che hanno dimostrato di non essere efficaci.
Interventi evidence-based per l'ADHD
Gli interventi più efficaci nel trattamento dell’ADHD sono:
- Trattamento farmacologico, con farmaci che agiscono sui neurotrasmettitori. Possono essere farmaci stimolanti (metilfenidato) che inibiscono il riassorbimento della dopamina, e non stimolanti (atomoxetina) che inibiscono la ricaptazione della noradrenalina;
- Parent Training, che consiste in una serie di incontri rivolti ai genitori dei bambini dove vengono insegnate delle strategie psicoeducative da adottare con i loro figli;
- Interventi cognitivo-comportamentali, mirati all’acquisizione di migliori capacità di autocontrollo
Pur non essendo personalmente un amante dei farmaci, la letteratura internazionale ha messo in evidenza come in molti casi i farmaci predispongano una finestra d’azione all’interno della quale gli interventi psicologici sono maggiormente efficaci.
Come messo in evidenza dalle Linee Guida SINPIA (Società Italiana di Neruopsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza) bambini con ADHD trattati con intervento combinato (farmacologico + psicologico) nel 67% dei casi risultano clinicamente indistinguibili dai bambini senza ADHD.
Tuttavia, mentre l’efficacia del trattamento farmacologico dipende molto dalle caratteristiche neurobiologiche del bambino e vi siano diversi possibili effetti collaterali, gli interventi cognitivo-comportamentali attuabili sono molteplici e non presentano effetti collaterali.
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Interventi promettenti per l’ADHD
Tra gli interventi che presentano un numero contenuto di ricerche ma che hanno dato prova di buona efficacia troviamo:
- Training di abilità sociali con applicazione per la generalizzazione;
- Biofeedback e Neurofeedback, che consiste nel monitoraggio e nel controllo di funzioni biofisiologiche (respirazione, battito cardiaco, sudorazione, conduttanza cutanea..) e neurofisiologiche (onde cerebrali).
Interventi senza efficacia per l’ADHD
Nonostante ci siano ancora molte persone che continuano a proporre questi interventi, questi non hanno dato prova di efficacia e risultano per tanto inutili:
- Psicanalisi e approcci psicodinamici;
- Diete;
- Psicomotricità;
- Chiropratica.
Bibliogradfia ADHD
- Barkley, R.A. (2018). ADHD: Strumenti e strategie per la gestione in classe. Trento: Edizioni Erickson.
- Le guide Erikson (2013). ADHD a scuola: Strategie efficaci per gli insegnanti. Trento: Edzioni Erickson.
- Vio, C. e Lo Presi, G. (2014). Diagnosi dei disturbi evolutivi. Modello, criteri diagnostici e casi clinici. Trento: Edzioni Erickson.
- American Psychiatric Association (2014). Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, Quinta edizione (DSM-5). Milano: Raffaello Cortina Editore.
- Chiarenza, G. A., Bianchi, E. e Marzocchi G.M. (2002). Linee guida del trattamento cognitivo comportamentale dei disturbi da deficit dell’attenzione con iperattività (ADHD)